pè caso, niente niente, tante vorte...stavi a cercà na parola chiave?

mercoledì 30 giugno 2010

Peña Colorada.


Ci siamo alzati presto io e Stefano per raggiungere la missione di Peña Colorada. In realtà la missione e' chiusa da due anni circa, perché e' un posto di passaggio e risulta difficile fare una lavoro educativo come si deve. Per cui il nostro amico Stefano Mazza, sacerdote dell'OMG, si ' trasferito in una missione a 40 Km, Pasorapa, più abitata e più adeguata. Ha chiuso anche la scuola di falegnameria e il laboratorio di falegnameria. Uno dei tre ragazzi che lavorava nel laboratorio ha sobillato la popolazione locale contro don Mazza. A mezzogiorno era in programma la riunione con tutta la comunità locale. Abbiamo atteso sino all'una e nel mentre gli uomini chuppavano foglie di coca che era una bellezza, come si vede in foto. Qui siamo a pochi Km da dove venne ammazzato Che Guevara. La riunione ha toni accesi, ma si rimanda tutto al 30 luglio. La proposta dell'OMG e' di regalare tutto, ma non ai tre ragazzi che hanno tradito don Mazza, bensì alla popolazione locale che ne deciderà cosa fare di tutta la struttura. Si pensa a una scuola nuova, oppure c'e' la proposta di fare un albergo per gli operai che stanno costruendo la nuova strada che collegherà Cochabamba a Santa Cruz, ma questa seconda ipotesi porterà alcol e prostituzione, di sicuro.

Entrando, poi, nella casa parrocchiale vi erano alcune foto che mi hanno commosso: campo tetto in Toscana, nell'agosto 2004. Ho riconosciuto tanti ragazzi di Foggia che erano alle prime armi con l'OMG e poi hanno fatto tanta strada! E che ora mi mancano tanto.

lunedì 28 giugno 2010

Sveglia alle 5.


La notte quasi nessuno ha dormito bene per i freddo, tranne me per il…caldo! I’ so’ do Fogg! In mezz’ora ci portano a vedere dei geiser vulcanici, nulla di che!.
5 passeggeri del mio fuoristrada viaggiano verso il Cile, per cui li accompagnano al confine.
Sosta alla LAGUNA VERDE. Priva di ogni forma di vita perché l’acqua e’ piena di arsenico. La sovrasta un vulcano che tocca i 6mila mt., mentre noi siamo a 4.500. dalla’altra parte della laguna si intravede u sentiero. Porta alla cima del vulcano, nel cui cratere c’e’ un’altra laguna., ch dicono essere la più bella di tutte, e proprio per questo la meno accessibile. Per chi volesse andarci ci vogliono due giorni, ma e’ necessaria una preparazione fisica d hoc.
da questo punto si vedono allo stesso tempo la Bolivia, il Cile e l'Argentina.

Ciclista folle!


Incontriamo un ciclista argentino che sta girando l’America Latina in bici, un autentico pazzo.

La frontiera col Cile.


Proseguiamo e alle 10 quasi siamo al confine col Cile, in pieno deserto di Atacama. San Pedro de Atacama dista solo 45 Km. Una casetta e’ tutto quello che c’e’ della migrazione Boliviana. Quella della migrazione cilena dista 10 minuti. Il vento qui e’ tremendo, faccio fatica a stare in piedi e gli zaini di alcuni turisti rotolano tra la sabbia nebbiosa.

Mi sento emozionato, ho sempre sentito parlare di questa frontiera dai libri di Sepulveda. Adoro tutto ciò che e’ frontiera. Mi da’ il senso di un limite che si può valicare. Perché al di là c’e’ sempre un ignoto da scoprire. Perché e ‘ sempre la mescolanza tra un di qua e u di là. La gente di frontiera dice che vive alla frontiera, non in questa nazione di qua o in quella nazione di là, perché loro si sentono di frontiera, la frontiera e’ uno status.

San Cristobal.


Nel pomeriggio rientro a Uyuni, con sosta a San Cristobal, un paese che e’ nato sule montagne dove c’era una miniera d’argento., Ora l’argento e’ finto e nel giro di un anno, nel 2002, hanno ricostruito la cittadina sulla strada che va in Cile, dedicandosi ora la gente al commercio. Mi fa ridere un vigile mezzo ubriaco (qui l’alcol e’ una piaga), che fischia a casaccio e fa un gran casino non stante non ci sino non più di una decina d’auto in giro.

Sulla via del rientro.


Dpopo 4 giorni fantastici ripredo il treno alle 2 di notte, e alle nove del mattiano sono alla stazione di Oruro.

domenica 27 giugno 2010

Il giorno delle Lagune colorate.


La notte non fa tanto freddo. Nessuno usa i sacchi a pelo, bastano circa 3 coperte che l’hotel salato mette a disposizione. Non ho molta voglia di togliermi le coperte di dosso, ma alle 6,30 sposto la tenda dalla finestra sopra i mio letto (avevo scelto apposta quel letto) e vedo il sole fare capolino a est. Proprio di fronte alla mia finestra. Mi vesto in fretta e mi butto un po’ d’acqua in faccia per fiondarmi fuori e immortalare gli attimi iniziali del nuovo giorno. Solo dopo poco realizzo di quanto freddo faccia e nel tornare indietro vedo che la luna e’ lì, ha solo scavalcato l’hotel dall’altra parte rispetto alla sera prima., come a fare posto al sole, e per farsi rincorrere.

Colazione e via.


Oggi e’ il giorno delle lagune, una più bella dell’altra. Si sale parecchio, d’ora in poi saremo sempre oltre i 4mila. Ci fermiamo a vedere la ferrovia che porta ad Avaroa, prima stazione in Argentina. Da qui si vede il vulcano Ollawe, 5.850 mt, per metà in Bolivia e per metà in Cile. In verità tutta la giornata si svolge sul confine cilo-boliviano. Ta i due paesi non corre buon sangue, per via di una guerra in cui la Bolivia erse il suo unico accesso al mare. Per questa ragione le nostre guide hanno timore di sconfinare in Cile; a noi i doganieri cileni chiederebbero una manciata di dollari per non darci fastidio. A loro sequestrerebbero il mezzo…e quindi noi rimarremmo a piedi. Vorrei più silenzio nel fuoristrada, non vorrei sentir parlare di mondiali di calcio e di altre cose superficiali. Ceco di alienarmi, ma sono seduto accanto all’autista e devo sempre tradurre inglese/spagnolo. Francamente inizio a essere stufo di questo accento inglese e delle loro esclamazioni, tra cui regna sovrana “AMAZING!!!”. Molto meglio lo spagnolo, più musicale, più passionale.

Laguna Cañapa.


Seconda sosta alla Laguna Cañapa, la mia preferita. Mentre scendo a riva due ragazzi colombiani rullano un po’ di erba. I colori giocano tra di loro, il rosso, il rosato, il bianco, il verde, l’azzurro. Cerco di allontanarmi un po’ dal gruppo, ho bisogno di sentire il silenzio governato dal vento.

Laguna Idi Honda.


Riprendiamo la strada verso la Laguna Idi Honda. Qui noto molto rispetto per l’ambiente dalla gente del posto. Un po’ può dare fastidio dover pagare 50 centesimi di pesos boliviani per ogni pisciata (che con sto freddo sono pure frequenti), ma poi ti rendi conto che stiamo parlando di 6 centesimi di euro, e poi va ammirato l’orgoglio di questa gente per le proprie ricchezze naturali.
Di là del bagno noto una famiglia di Vicuña. Sono una sorta di lama, ma senza tutta quella lana pregiata da cui si ricava l’alpaca. Pranzo in un ristorante fatto intermante di blocchi di sale. Al’interno ci dicono ci siano camere da 100 dollari a notte.

LAGUNA COLORADA.


Al pomeriggio il viaggio si fa duro e per fortuna ala u po’ di silenzio. Il terreno e’ sconnesso, sembra un paesaggio lunare.
Incredibile come questa sia la strada principale che porti in Cile. Un paio si soste molto veloci, per ché il vento a 90 Km/h ti prende a sberle. E poi finalmente la LAGUNA COLORADA. Anche qui il vento vorrebbe affermare la propria forza, ma il paesaggio e’ così incredibile che lo ignoro e lui, il vento, quasi si fa da parte come chiunque si senta ignorato. Mi metto a dare fastidio a una famiglia di lama a riva della laguna. Sulle orecchie hanno dei nodi colorati che riportano a chi sia il proprietario.

Erik il canadese.


Prima di lasciare la laguna, Erik il canadese, per seguirmi mentre rincorro un fenicottero da riprendere in primo piano, sprofonda nella laguna e perde entrambe le scarpe. Ian il tedesco lo aiuta a recuperarle. A bello tu si’ canades, ma i’ so’ d Fogg!

Wilson e Natalie.


Arriviamo all’hotel, 4 mura di fango impagliato. Ci sconsigliano di fare la doccia perché dalle stanze alle docce ci sono 30 mt all’aperto, e l’escursione tra temperature corporea dopo una doccia calda e i meno 5 di fuori potrebbe essere pericolosa per a salute.
Siamo fuori dal mondo. Niente telefono, niente tv o internet. I tedeschi e gli inglesi sono in ansia per saper come ia finita la partita Germania-Inghilterra. Mi vedono sereno circa i Mondiali e così mi prendono un po’ in giro.
Prima di cena vengono a farci visita due bambini del posto, Wilson di 11 anni e Natalie di 8 anni. Cercano di intonare qualche canzone,ma nessuno li calcola, tutti presi da Ipod e telecamere. La cosa mi infastidisce, io le persone le distinguo da come si avvicinano ai bambini, specie quelli molto poveri. Con me si avvicina a loro una signora neozelandese, ex maestra, e una signora di Zurigo che si commuove molto. Wilson e Natalie vivono in questo posto oltre i confini del mondo. La mattina devono fare tre ore a piedi per andare a scuola e per tale ragione spesso non ci vanno, preferendo fare qualche soldino coi turisti.La notte la temperatura scenderà’ a meno 15. I neozelandesi hanno due sacchi a pelo a testa. Nel mio gruppo la coppia di canadesi dorme in due nello stesso letto, la maniera più antica e dolce per non aver freddo di notte. Noi altri cinque apriamo i nostri sacchi a pelo e li infiliamo sotto una sfilza di coperte. Come al solito, io pugliese, di notte, mi tolgo tutto, ho caldo!!!

sabato 26 giugno 2010

Sveglia alle 8.


Colazione in un baretto nella piazza dove mi sere uno zoppo. Beh, la sera prima mi aveva servito un dottore, e’ giusto che a colazione mi serva un paziente! Alle 10,30 di parte con un Toyota Land Cruiser. Con me una coppia di fidanzati canadesi. Due ragazzini 19enni di Brighton, Inghilterra, che dai genitori come regalo della maturità si sono fatte regalare il giro dell’America latina da sole (altro che auto, gioielli, vestiti, ipod e week end nelle spa). Poi Ian, tedesco, e Ryan, barbuto di colore di New Orleans, Entrambi da soli in giro in America Latina. Si parla inglese, e’ giunta ora di rispolverare il mio inglese. Non va male e comunque hanno bisogno di me, unico tramite tra l’autista e loro. Prima sosta a cimitero dei treni. Gia’ a me i treni mi hanno sempre messo tristezza, figurati poi un cimiero di treni in pieno deserto.

Eccoti Salar.


In lontananza si sente il profumo di paesaggi che tanto l’esistenza di Dio, quanto la sua follia creatrice. Anzi alle volte penso che questo Dio Clown si sia proprio messo d’impegno a collocare certe meraviglie all’occhio umano, in luoghi dove il piede umano difficilmente vi approda. Forse per difendere queste sue perle, come aquila che costruisce il suo nido cime inaccessibili. Oppure perché l’interdizione della meta, la difficoltà nel raggiungerla, rende ancora più’ gustosa al sua presa. E così, quando vedi a tua meta, tu no vedi solo un luogo, ma anche il colore dell’attesa, l’odore della fatica, il suono dell’incredulità’. E vi assicuro che e’ una cosa sentita, sincera,m non come quando spendi 50 euro per un concerto che non ti e’ piaciuto, ma agli amici devi dire che e’ stato fantastico in omaggio piuttosto ai 50 euro spesi.
Eccoti mio caro Salar de Uyuni, ti ho preso, o meglio, tu hai preso me. Una distesa bianca salata, fondale oceanico milioni di anni or sono, che oggi da’ lavoro a molta gente tra turismo e sale. Dovunque ti giri occorrono 4 mani, due per fotografare, due per imprimere le emozioni sul taccuino.

Hotel di sale.


Pranzo a base di carne di lama in un hotel costruito con blocchi di sale, accerchiati da statue di sale.

Isla del Pescado.


Nel pomeriggio visita alla Isla del Pescado detta così perché dall’alto ha la forma di un pesce. Piena di cactus, mi sembra un‘oasi nel deserto salato. Mi sento come un bambino a Gardaland, su e giù tra le rocce per rubare gli angoli più belli.

Luna che sei bella!


Ci dirigiamo verso l’hotel che ci ospiterà per la notte, anch’esso interamente di sale, letti compresi.
Una luna che più piena sarebbe una luna obesa, ci si para di fronte, sbigottiti perché pare un sole più che una luna. E va bene che siamo dall’altra parte dell’equatore, ma mica e’ proprio tutto al rovescio! Ci buttiamo fuori per catturarla con la nostra tecnologia ciuccia e presuntuosa, ma lei, come donna sciantosa, si fa ammirare ma non si fa accarezzare. Se ci andasse un uomo adesso, lo si vedrebbe da qua.
Una doccia calda, in vano doccia interamente di sale, mi rimette a nuovo. E dopo una deliziosa cena riassaporo il gusto di scrivere a lume di candela.

esta es mi tierra!


Sono le 11 di sera, da voi le 5 del mattino. Vorrei continuare a scrivere le pagine di diario del Salar De Uyuni. Mancano i due giorni nelle lagune e l'incontro con l'affascinante frontiera col Cile. Ma alle 6 del mattino io e Stefano dobbiamo andare a Pegna Colorada, una missione a sei ore da qui. Un nostro amico e' in difficoltà con la popolazione locale e andiamo a vedere cosa succede.
Appena torno a Cochabamaba vedrò di continuare il racconto dei giorni nel deserto. Intanto mi permetto di pubblicare una foto banale (più da turista che da viaggiatore), ma che e' parte del bambino che e' in me e che spero non muoia mai. Fare il gesto del mio Capitano quando gonfia la rete di fronte al cartello di benvenuto in Bolivia, due chilometri dalla frontiera col Cile. Hasta siempre!

venerdì 25 giugno 2010

In viaggio verso il deserto salato!


Dopo tre giorni di riposo e faccende minori a Cochabamba,e un po' di babysitteraggio ai figli di Stefano e Sonia, stamattina mi sono messo in viaggio verso il Salar de Uyuni, un sogno che inseguo da quando nel 2006 ho conosciuto questa splendida terra di Bolivia. E i sogni vanno inseguiti...siempre!
Ho preso un bus che in 4 ore mi ha portato a Oruro, una delle citta' piu' brutte mai viste. In pieno deserto, senza acqua, spazzatura e desolazione in ogni angolo. Una citta' che si anima solo una volta l'anno per un Carnevale che attira gente da ogni dove. Qui la desolazione e' tale che un vecchietto per arrangiare un po' di soldini si e' messo in strada con la sua bilancia, offrendosi di pesare persone e merci.
Ho mangiato una cotoletta milanese (!!!!) e ora sono in in internet point aspettando le 3 del pomeriggio, quando l'Expreso del Sur mi portera' a Uyuni. Cosa e' l'Expreso del Sur? Un trenino molto turistico che alle 10 di sera (4 di notte in Italia), mi portera' a destinazione.
Domani alle 8 mi vengono a prendere in albergo per iniziare il tour di tre giorni.
Era tanto che non viaggiavo in luoghi non conosciuti da solo. Viaggiare da solo e' il vero viaggio, perche' mentre tutto scorre fuori, inizia un altro viaggio interiore.Il viaggiatore per me ' colui che mentre e' in un posto, gli manca quello che ha appena lasciato e non vede l'ora di conosere la prossima tappa.
Cosi' mi sento io... Osservo ascolto, annuso, tutto desidero conoscere, molto desidero raccontare. La gente povera che viene in citta' una volta al mese e risale sui monti con borsoni tremendi slo al vederli.
Riprende il mal d'altura, la testa scoppia. Il sole brucia e l'ombra gela. Mi consola il pensiero delle persone care in Italia e la voglia di scoperta che da semmpre ho dentro di me.
Della nazionale preferisco non parlare, l'abbiamo vista sul PC di un amico boliviano, tramite un sito Koreano...che pero' era di dieci minuti indietro rispetto agli aggiornamenti in tempo reale del sito della gazzetta dello Sport...quindi!
E ora Vamos Vamos Argentina, Vamos vamos a ganar. Vamos Diego. Sogno di vedere la finale a La Paz nel ristorante argentino vicino casa e festeggiare con loro, gente passionale, oltre che essere un bel riscatto per quel popolo che tanto ha sofferto in questi anni.

Partenza da Oruro alle 15.30.


Il mio vagone e’ pieno di adolescenti Usa, di un college della Virginia, in vacanza studio con due professori per imparare lo spagnolo. Se penso alle gite che facevano fare a noi al liceo: Rimini, Riccione, san Marino, Venezia. Questi ragazzi a 16 anni già assaggiano’avventura , ripercorrendo le rotte di due fuori legge leggendari come Butch Cassidy e Sundance the Kid, che la leggenda vuole morti in Bolivia, mentre fuggivano dalla polizia federale degli Usa.
Le prime immagini il finestrino del treno offre sono di quelle che ti lasciano in apnea. Sembra lo scenario di un film western di Sergio Leone.
Mi chiedo come faccia la gente a vivere qui, in queste condizioni, senza accesso agevole ad acqua e luce. Il treno mi riporta indietro nel tempo e avverto un profondo senso i ingiustizia, la cosa bella e’ che io sto dalla parte ingiusta del mondo. Al culmine di questa emozione il treno rallenta, cioè passa dai 50 ai 40 Km/h, Ecco che due bambini lasciano il loro gregge per venire vicino ai binari a salutare, lasciando dietro di loro un’allegra scia di polvere. Vestiti con pochissimi stracci sporchi, e la mia rabbia, verso l’ingiustizia, verso il mio egoismo, sale ancora di più?

Mi allieta un tramonto nel deserto.


Per fortuna il sole si corica sul mio lato di viaggio. Mi sto innamorando del mio finestrino, tra un po’ ci parlo. Contiene da solo tutti i colori più belli, dal rosso fuoco, al blu già stellato. In mezzo una serie dolcissima di sfumature che sono da sollievo alle mie tempie pressate dal passaggio in poche ore dai 2.700 a i 3.800.
Secondo me l’amore tra una donna e un uomo dovrebbe essere sempre così, una serie imprevedibile si sfumature, dal rosso fuoco al blu stellato, tenute insieme da un’armonia misteriosa e mistica.

Arrivo alle 10.30 di sera a Uyuni.


Prendo alloggio al’hotel Avenida, di fronte la stazione (nella foto e'l'edificio giallo alle spalle della vecchia locomotiva). La stanza non e’ gran che, ma per 6 euro a notte, con bagno in camera, non ci si deve lamentare. Vado a fare un giro in piazza per mangiare u boccone. C’e’ scritto “pizzeria italiana” ovunque. Io, per ossequiare i miei colleghi del posto, entro in un pub, il Pub Arcoiris, che significa Arcobaleno. All’interno solo tratti somatici occidentali, tranne due tavoli in cui lui e’ ariano, lei latina. Mi accoglie Polo, 17 anni, padre di Reggio Emilia, e madre di Uyuni. Mi dice che due giorni rima era pasta di là una ragazza di Foggia. Chissà, sarei davvero curioso di sapere chi fosse e comunque sono felice che una ragazza della mia città, che e’ una città molto chiusa, si sia spinta da sola fin qui. Intorno i turisti consultano i loro Lonely Planet e la cosa mi rattrista, perché quelle guide tolgono il gusto della scoperta solitaria e quindi cristallizzano la dimensione dell’avventura.
Al tavolo mi serve un signore sulla 50ina. Lo chiamano il dottore. IO credevo fosse per il suo bizzarro abbigliamento da cameriere: zoccoli verdi, pantaloni bianchi e t-shirt verde da sala operatoria. No, no! Si chiama Victor, e’ un chirurgo per davvero. Alle 5 del pomeriggio smonta dalla clinica e va ad aprire il pub. Nulla di strano se penso alle due lire che un medico boliviano guadagna al mese, ma il fatto che venga a fare il secondo lavoro coi panni del primo e’ davvero tragicomico. Mi offre un doppio mate de coca in cambio delle mie risate incredule. Santa coca, dormo come un cucciolo!

domenica 20 giugno 2010

Italia - Nuova Zelanda.


Quando sei all’estero tutto ciò che è Italia si amplifica. E così abbiamo seguito l’inno di Mameli in piedi, con la mano sul petto e gridandolo forte. Se ero in Italia, me ne stavo davanti a una pinta di birra e magari ce scappava pure er rutto. Siamo così, noi italiani, non c’è nulla da fare.

Vediamo la partita in questa casa che si vede in foto. Leocario, l’amministratore dell’ospedale, ha messo sul tetto un’antenna stranissima (con un coperchio di pentola alla punta estrema!) con cui si riesce a prendere la televisione venezuelana.

Delusione totale, anche la delusione si amplifica quando sei lontano da casa. La sentiamo troppo sta cosa della nazionale noi italiani espatriati. A’ Lippi, damme retta, la prossima volta al posto di Gilardino metti un’emigrante di Dusseldorf a cui manca la braciola della domenica, e vedi che cazzo te combina là davanti.

Affondo la mia tristezza futbolistica in un corso di Aymara. Ormai ho fatto il proposito, voglio imparare la lingua degli Aymara. Dopo aver appreso le lingue dei conquistatori, è ora che inizi a imparare le lingue dei popoli che hanno sempre preso pedate nel fondo schiena. Dicono che sia difficile, allora è proprio che ci devo provare!

Nel pomeriggio finalmente andiamo a Carabuco, dove prendo possesso di quella che per alcuni mesi sarà la mia stanza. C’è tutto, ma manca una cosa tremendamente importante: uno scrittoio!!!!!!

Cena italiana, un piatto di pasta asciutta. Vado a letto alle dieci. Giorgio e Domenico mi passerano a prendere domattina alle 5 per andare a La Paz. A La Paz se non entri la mattina presto, con tutti i mercatini e i blocchi per le proteste degli indigeni, arrivi a mezzogiorno in centro. E poi e’ la prima alba del nuovo anno Aymara: la tradizione secolare vuole che la gente salga sui punti piu’ alti e volga volto e palmo delle mani verso il cielo, perche’ il Dio Sole dia loro l’energia per tutto l’anno.

sabato 19 giugno 2010

I bambini degli italiani in missione.


Domenico e Barbara dirigono l’ospedale di Escoma: hanno quattro figli, che con i loro tratti da svedesi stridono con i loro compagni di scuola come un vegetariano in una Kebaberia. Per me i bambini che crescono qua hanno una marcia in più. Giocano con tutti gli animali, si lavano da soli, mangiano da soli, giocano con poco, mi sembrano piu’ svvegli dei pari eta’ italiani, soprattutto meno fifoni. La struttura del nuovo ospedale in costruzione, appena fuori di casa loro, è un vero luna park. Non sanno cosa sia la Playstation. A sera vediamo un film “La fabbrica di Cioccolato”. Lo seguono in silenzio, più in piedi che seduti, mancavano solo le mani giunte!

Nel pomeriggio mi vedo con Giorgio del lecchese, sta guidando la cooperativa di mobili, in attesa che a settembre torni Lele. Con lui facciamo il punto della situazione. Non è il top: manca la legna secca, mancano i lavori. Se non abbiamo lavori dobbiamo far rimanere i ragazzi a casa, senza poterli pagare. Intanto ci sarebbe da arredare un ristorante per turisti nel pieno centro di La Paz, accanto alla Iglesia de San Francisco. Se prendiamo questo lavoro potremmo respirare un pò, in attesa che mi metta all’opera e inizi fare quello che per cui mi hanno chiesto di venire qua…trovare nuovi clienti per i nostri ragazzi.

Intanto il 14 luglio inizia la consegna dei mobili a uno dei tanti hotel di Samuel Medina Doria, un miliardario che ha fatto fortuna col cemento e poi si è buttato sul turismo, con una catena di hotel. Ha tentato anche una sortita in politica, sfidando l’indigeno Evo Morales alle presidenziali 2009. In Italia con quattro chiacchiere e due veline avrebbe vinto, ma sti boliviani tanto stupidi non sono, e così hanno rivotato Morales.

venerdì 18 giugno 2010

Finalmente Bolivia!


Mi vengono a prendere in aeroporto Diego e Domenico. Al mattino i 4mila metri di La Paz mi danno il benvenuto: un comitato d’accoglienza composto da mal di testa e senso di nausea. Ma Domenico (infermiere bresciano, che dirige da 5 anni l’ospedale di Escoma, unico nell’altipiano a dare assistenza gratuita ai poveri), aveva con sé le pillole magica contro l’altura, di quelle in uso agli alpinisti. Il respiro poi, non ne parliamo, fai due scale e pare che hai fatto la maratona di New York. Ci vorrà almeno una settimana perché il metabolismo capisca che non siamo in Puglia.

Con Domenico mi avvio alle 9 del mattino verso Escoma, circa quattro ore di viaggio. Mi emoziono a rivedere la Cordillera Blanca Boliviana, tutta oltre i 6mila. Per chi sta al livello del mare può sembrare un’altezza pazzesca, ma va detto che il mio punto di vista è da 4mila metri. Mi rendo conto che nella mia vita spesso ho sbagliato approccio alle sfide: consideravo il punto di arrivo, mentre avrei dovuto concentrarmi prima di ogni cosa sul punto di partenza. Siamo ciò da cui partiamo e solo dopo possiamo diventare ciò a cui giungiamo.

Il più imponente, eccolo là, l’ILLIMAMPU. Sembra un nonno severo che guarda che tutte le altre cime stiano bene in fila, senza perdere l’ordine. Una processione di timide nuvole si muove verso le sue punte imbiancate, gli rendono omaggio con un girotondo, quasi a guardia della sua regalità, a protezione della cima. I campesinos Aymara, gente che non ha mai studiato, ha notato bene come da dieci anni a questa parte le nevi del ghiacciaio si siano ritirate sempre più verso l’alto.

La sera mi corico sotto uno strato di ben 5 coperte. Non prima di aver dato un’occhiata al cielo trapuntato delle sorelle stelle. Eppure, sebbene con qualche cambiamento dovuto al fatto che mi trovo da questa parte dell’equatore, sono sempre loro, ce le ho sempre sopra la mia cabeza. Ma la vita di tutti i giorni mi acceca di false luci, luccicanti, accecanti, che forse non servono a nulla. O forse non abbiamo più il coraggio di alzare gli occhi al cielo, presi come siamo dal guardare dove mettiamo i piedi.

Prendo docilmente sonno, grazie al mate de coca, santa cosa.

Buenas noche.

giovedì 17 giugno 2010

Si parte!


Questo sarò io nei prossimi mesi: uno zaino, una tracolla peruviana, un paio di scarponi e sandali per far sbollire i piedi.
Possibile che la vita di un uomo possa essere tutta lì? Ho imparato in questi anni dal mio amico clown a mettere via, a spogliarmi, a viaggiare leggero, così il viaggio può portare più lontano. E’ l’augurio più grande che possa fare a me stesso…tornare più leggero, ma solo perché ho voglia di correre di più, di fare altre cose belle, con gli amici più fortunati, per gli amici meno fortunati.

Lì dentro ci sono affetti, amicizie, preoccupazioni, persone importanti e una grande, immensa fetta di cuore….oltre alla bandiera della MAGGICA ROMA, che sventolerà sulla scuola di Carabuco.

Ci ho messo dentro i miei libri di sempre, e quelli per sempre. Una overdose di taccuini per appunti, quelli per il lavoro, quelli per la poesia, quelli per il prossimo libro, che spero di tornare a scrivere con il mio amico clown.

Poi ci sono due borse a parte: una con il materiale della scuola calcio che voglio mettere su, l’altra con un po’ di grana, un po’ di cioccolato e grappa a volontà, per scaldare le fredde sere che il vento del Titicaca imporrà d’ora in poi.

Paure? Tante, ma meglio così, altrimenti non vi sarebbe adrenalina pura. E poi la paura si vince solo con l’amore. Mi gasa l’idea di potermi mettere al servizio di un’impresa pazzesca, ovvero creare lavoro per ragazzi poveri, in uno dei paesi più poveri la mondo, in uno dei periodi peggiori dell’economia. Ma ci credo fermamente, sono figlio di gente con la testa dura Non vedo l’ora di iniziare, addolcito dal gusto degli scenari che solo l’America Latina sa regalare.

Il mio viaggio è partito ieri da casa di Lele ed Elena, su quel lago che ha accolto i primi versi all’amore tanto ostacolato, ma che poi ha saputo trionfare, nonostante tutto e tutti. Ora sono in sosta all’aeroporto di Sao Paulo do Brazil, in attesa dell’aereo che mi porterà stanotte a La Paz, con uno scalo ad Asuncion, in Paraguay.

Mi ha colpito la presenza di una famiglia Amish, noti perché rifiutano la società moderna in quasi tutti i suoi aspetti. Si vestono, vivono e lavorano secondo regole di due secoli fa, sono tranquilli e pacifici. Erano in otto, mamma, papà e ben sei figli che tra l’uno e l’altro si passavano uno o due anni. Me li sono studiati a lungo, non parlavano quasi mai tra loro, il papà comunicava solo per gesti ai figli, e la mamma, con una cuffia ottocentesca in testa, badava all’ultima arrivata, sicuramente anagrafata 2010. So che ci sono molte comunità del genere in America Latina.

Bene, giusto per smentire chi diceva che io all’aeroporto di San Paulo mi sarei concentrato su ben altro. Beh, ora devo chiudere, sta passando un gruppo di giocatrici di beach volley brasiliane!